La Bella e la Bestia: la storia di Petrus Gonsalvus

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La Bella e la Bestia:

la vera storia di Catherine Raffelin e Petrus Gonsalvus

Catherine Raffelin e Petrus Gonsalvus (La Bella e la Bestia)

L’affascinante e famosa fiaba europea “La Bella e la Bestia” ha incantato e fatto sognare, in molteplici varianti, intere generazioni per secoli, ma non tutti sanno che è tratta in parte da una storia realmente accaduta e ambientata tra la Francia e l’Italia. Le prime tracce scritte di storie d’amore simili vengono fatte risalire alla letteratura greco-latina del II secolo d.C. con la favola di “Amore e Psiche” narrata nel celebre libro “Le Metamorfosi” (o L’asino d’oro) di “Lucio Apuleio”, scrittore e filosofo di formazione platonica nato nella provincia romana della Numidia (situata in Nordafrica). Nel 1550 lo scrittore italiano “Giovanni Francesco Straparola” realizzò la prima versione scritta de “La Bella e la Bestia” nel suo libro di racconti “Le piacevoli notti”, anche se la prima versione della fiaba come la conosciamo oggi è quella del 1740 ad opera della scrittrice francese “Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve”. Straparola nello scrivere il suo racconto si ispirò quasi sicuramente all’incredibile storia vera del famoso nobile spagnolo “Petrus Gonsalvus” (nome originale “Pedro Gonzales”), appartenente alla corte di “Enrico II” di Francia. Il nobile nacque a “Tenerife” (la più grande isola delle Canarie) nel 1537 con l’ipertricosi congenita generalizzata, detta anche “sindrome del lupo mannaro”, che è caratterizzata da un’eccessiva crescita di una folta e lunga peluria su tutto il corpo, compreso il volto ed esclusi soltanto i palmi delle mani e le piante dei piedi. Gonsalvus era un discendente dei “menchey”, i re degli aborigeni delle Canarie (Guanci) sconfitti e resi schiavi dalla conquista spagnola alla fine del ‘400, e all’età di 10 anni fu inviato nei Paesi Bassi come “regalo” al potente re “Carlo V d’Asburgo” per la sua singolare e caratteristica peluria rosso scuro che ricopriva interamente il corpo. Durante la traversata in mare dalle Canarie, ci fu un’incursione di corsari francesi che portò alla cattura del piccolo Pedro Gonzales, il quale fu trasportato all’interno di una gabbia e dato in dono al matrimonio di “Enrico II di Valois”, re di Francia, il quale latinizzò il suo nome in “Petrus Gonsalvus” e lo accolse nella sua corte. Petrus Gonsalvus (La Bella e la Bestia)La corte francese di quell’epoca era dominata dalla storica “Caterina de’Medici”, moglie del re e donna di forte e complessa personalità, a tratti crudele e amante di tutto ciò che era esotico, che rimase subito colpita dal singolare e “selvaggio” ragazzo e fu estremamente orgogliosa di ospitare tra i cortigiani una testimonianza vivente di un caso così unico nel suo genere. Fu così che ricevette la più alta formazione culturale del tempo con lo studio della lingua latina e delle discipline umanistiche, crebbe come un vero gentiluomo e rimase a Corte per ben 44 anni con l’appellativo onorifico di “Don”, grazie alle sue origini reali. Nel 1573 l’acculturato e solitario Petrus aveva ormai 36 anni e la regina pensò che era giunto il momento di dargli una moglie, così gli diede in sposa “Catherine Raffelin”, figlia di un cortigiano e la sua più bella damigella d’onore, per vedere cosa sarebbe nato da quel contrastante connubio. Si dice che la giovane fanciulla svenne al cospetto di Petrus, quando venne presentata per la prima volta al nobile come sua futura moglie. Qualunque donna al mondo sarebbe rimasta intimorita da tutta quella peluria che ricopriva il suo volto e all’inizio del matrimonio forzato la bellissima Catherine pensò quasi sicuramente che la loro sarebbe stata un’unione infelice, ma pian piano cercò di andare oltre le apparenze e di apprezzare altri aspetti di suo marito. Col tempo la personalità, la sensibilità, la dolcezza e la cultura di Petrus Gonsalvus finirono per conquistare veramente il suo cuore e i due si innamorarono. Dal loro amore nacquero ben 6 figli, quattro dei quali affetti da ipertricosi. I membri della famiglia Gonsalvus vennero studiati dall’italiano “Ulisse Aldrovandi”, un appassionato naturalista dell’epoca, che pubblicò le loro immagini su uno dei suoi volumetti dal titolo “De Monstris”, dove il termine “monstrum” aveva una connotazione positiva rispetto a oggi, perché veniva usato per intendere semplicemente qualcosa fuori dall’ordinario e di eccezionale. I ritratti della famiglia vennero realizzati da “Lavinia Fontana” e finirono nella “Camera dell’arte e delle curiosità” del Castello di Ambras (situato a Innsbruck, capoluogo del Tirolo) fatta costruire dall’arciduca “Ferdinando II d’Asburgo” nel XVI secolo per ospitare oggetti bizzarri e varie curiosità naturali e scientifiche.

Antonietta Gonsalvus (figlia della coppia)

Antonietta Gonsalvus (figlia della coppia)

Per questo motivo tutti i Gonsalvus in futuro prenderanno il nome di “Famiglia di Ambras” e rappresentano i più antichi casi di ipertricosi documentati in Europa. La stessa ipertricosi da cui erano affetti spesso viene chiamata proprio “sindrome di Ambras”. Tra il 1580 e il 1590, con la rovina della dinastia “Valois” (quella dell’allora defunto Enrico II), Petrus fu ceduto dalla corona francese all’influente famiglia parmigiana “Farnese” che lo riconobbe come “selvaggio gentiluomo“, così insieme alla cara moglie e ai loro figli si recò in Italia, dove soggiornò alla corte di “Margherita di Parma”, che per ironia della sorte era la figlia naturale di Carlo V, il re al quale doveva essere destinato inizialmente quando lasciò l’isola di Tenerife all’età di 10 anni. Successivamente si stabilì con la sua famiglia a “Capodimonte” (paese in provincia di Viterbo che all’epoca era sotto il dominio dei principi di Parma), sulle sponde del Lago di Bolsena, dove nel 1618 morì all’età di 81 anni lontano dai clamori delle Corti reali e lasciando vedova la sua Catherine dopo oltre 40 anni di vita insieme. I particolari della sua vita sono conservati nell’Archivio del Vaticano e negli Archivi di Stato di Roma e Napoli. Don Petrus Gonsalvus fu una vera star nell’ambiente aristocratico europeo del XVI secolo, grazie anche alle sue spiccate doti intellettuali. Sotto certi aspetti la sua insolita storia d’amore con la bella e devota Catherine può essere maggiormente di esempio rispetto alla splendida fiaba che ha ispirato e all’omonimo capolavoro animato della Disney, perché non è soltanto un’opera di fantasia, ma la prova concreta che la bellezza interiore è più importante di quella esteriore e che con dei veri sentimenti e la giusta determinazione si può andare anche oltre le apparenze e superare ostacoli che a prima vista possono sembrare insormontabili.

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